Credo che la cosa più bella
dell’arrampicata, che si parli di falesia o di boulder, resti liberare tiri o
blocchi nuovi (o come va di moda dire adesso, fare FA!). Certo, con
quest’affermazione non credo d’aver scoperto l’acqua calda, ma ho notato
soprattutto negli ultimi tempi che in me questa soddisfazione è aumentata in
modo inversamente proporzionale alla voglia di ripetere blocchi già saliti!
Oggi come oggi se devo scegliere se passare una giornata in una bella area con
un tot di problemi già repertoriati piuttosto che andare in esplorazione in
un’area nuova, che magari poi si dimostra esser peggio di quanto credevi, non
ho dubbi e vado per la seconda. Vuoi mettere la bellezza di intuire la linea,
pulirla, iniziare ad intravederne i movimenti che forse ti porteranno in cima,
sentire la roccia ancora intatta e pulita sotto le dita… un sapore totalmente
diverso, sotto ogni punto di vista.
In quest’ottica, pur non
avendo mai fatto cose eccelse e fuori dall’ordinario, i blocchi o i tiri che
ricordo con più piacere son quelli che mi son “creato” io, che ho scovato o che
ho avuto la fortuna di liberare. La sensazione più bella per esempio è il ricordo
della salita di qualche anno fa di “Giudizio universale” a Sant’Anna: il posto,
la compagnia, lo stesso stato d’animo che ho provato in quel momento erano
perfetti, tutto quello che poteva andare per il verso giusto si è incastrato
alla perfezione e mi ha permesso di salire per primo quella linea. Oh,
chiaramente non sto parlando di cose fuori dal mondo, anche se onestamente in
un contesto come quello l’ultima cosa che ti viene in mente è la difficoltà
fine a se stessa (e poi tanto un grado non gliel’ho mai dato e mai glielo
darò!!!), ma di una linea bellissima quantomeno per me, una linea che mi ha
fatto sognare, di quelle che ti lasciano anche un po’ di amaro in bocca perché
quelle sensazioni di aspettativa son terminate e dovrai rialimentarle con un
altro passaggio e poi ancora, continuamente…
Idem con la corda, dove tra
l’altro ho un’esperienza decisamente ridotta. Poche volte, direi quasi mai, mi
è capitato di trovarmi di fronte ad un tiro chiodato (purtroppo non ho ancora
avuto la fortuna di provare a spittare linee nuove, cosa che credo richieda
anche parecchio occhio per evitare di far uscire meritevoli cagate come se ne
vedono spesso in giro) e ancora da liberare, come qualche anno fa a Toirano, in
una falesia che peraltro è notoriamente dedicata al facile. Una bella linea su
un pannello leggermente strapiombante, un tiro corto ma abbastanza tignoso che
mi ha subito “preso”; su consiglio di un amico e dopo aver saputo che il tiro
era già stato tentato anche da altri e non solo dal chiodatore stesso (non mi
permetterei) c’ho messo mano e da subito ho sentito tutti movimenti entrare
abbastanza bene, ma senza riuscire a metterli tutti insieme. Anche lì ho avuto
la fortuna di avere la giornata giusta nel momento giusto e di crederci un po’
oltre alla mia innata “coniglite” con la corda e di riuscire a liberare “Tabula
rasa” al secondo giorno, un piacere che mi ha fatto venire l’acquolina in bocca
per mettermi alla ricerca di altri tiri e di altre linee ancora “vergini”.
Quest’estate ho passato gran
parte delle giornate dedicate ai blocchi al rifugio Remondino, un’area che non
mi stancherò mai di dire esser superiore a qualsiasi altra io conosca, in zona
e non, e anche lì, pur essendoci linee già salite, alcune più vecchie altre più
recenti, raramente mi son fermato a provarle più di tanto, attirato sempre e
comunque dal “nuovo” che invece a ben vedere nuovo non è. La linea esiste già,
è sempre esistita, quindi non si crea niente, semplicemente si usa quello che
si vede scritto sulla roccia ma quella linea non è nient’altro che una sequenza
di prese e appoggi che alcuni vedono e altri (purtroppo per loro) no. Oppure a
ben vedere quella linea che intuisci dal nulla non è mai esistita, è solamente
roccia per qualunque persona ma per te invece rappresenta qualcosa di diverso e
di nuovo, uno stimolo per il tuo corpo ma prima ancora per la tua testa, un
insieme di prese e appoggi che cerchi di mettere insieme per realizzare
qualcosa di essenzialmente inutile. Credo che la differenza sostanzialmente sia
quella che passa tra osservare un quadro, anche bellissimo, e provare a
dipingerne uno: sono convinto che anche se oggettivamente un Picasso sarà
superiore alla mia crosta soggettivamente non ci siano paragoni che tengano e
nell’inutilità di entrambe le opere scelgo quella che più mi soddisfa.
Tutto questo per dire che
non so se l’arrampicata sia arte, per me sicuramente lo è, e più ancora che nel
gesto lo è nell’intuizione iniziale, anzi forse solamente in quello. Per il
resto è opera di carpenteria.
Nessun commento:
Posta un commento