giovedì 26 settembre 2013

FA


Credo che la cosa più bella dell’arrampicata, che si parli di falesia o di boulder, resti liberare tiri o blocchi nuovi (o come va di moda dire adesso, fare FA!). Certo, con quest’affermazione non credo d’aver scoperto l’acqua calda, ma ho notato soprattutto negli ultimi tempi che in me questa soddisfazione è aumentata in modo inversamente proporzionale alla voglia di ripetere blocchi già saliti! Oggi come oggi se devo scegliere se passare una giornata in una bella area con un tot di problemi già repertoriati piuttosto che andare in esplorazione in un’area nuova, che magari poi si dimostra esser peggio di quanto credevi, non ho dubbi e vado per la seconda. Vuoi mettere la bellezza di intuire la linea, pulirla, iniziare ad intravederne i movimenti che forse ti porteranno in cima, sentire la roccia ancora intatta e pulita sotto le dita… un sapore totalmente diverso, sotto ogni punto di vista.
In quest’ottica, pur non avendo mai fatto cose eccelse e fuori dall’ordinario, i blocchi o i tiri che ricordo con più piacere son quelli che mi son “creato” io, che ho scovato o che ho avuto la fortuna di liberare. La sensazione più bella per esempio è il ricordo della salita di qualche anno fa di “Giudizio universale” a Sant’Anna: il posto, la compagnia, lo stesso stato d’animo che ho provato in quel momento erano perfetti, tutto quello che poteva andare per il verso giusto si è incastrato alla perfezione e mi ha permesso di salire per primo quella linea. Oh, chiaramente non sto parlando di cose fuori dal mondo, anche se onestamente in un contesto come quello l’ultima cosa che ti viene in mente è la difficoltà fine a se stessa (e poi tanto un grado non gliel’ho mai dato e mai glielo darò!!!), ma di una linea bellissima quantomeno per me, una linea che mi ha fatto sognare, di quelle che ti lasciano anche un po’ di amaro in bocca perché quelle sensazioni di aspettativa son terminate e dovrai rialimentarle con un altro passaggio e poi ancora, continuamente…
Idem con la corda, dove tra l’altro ho un’esperienza decisamente ridotta. Poche volte, direi quasi mai, mi è capitato di trovarmi di fronte ad un tiro chiodato (purtroppo non ho ancora avuto la fortuna di provare a spittare linee nuove, cosa che credo richieda anche parecchio occhio per evitare di far uscire meritevoli cagate come se ne vedono spesso in giro) e ancora da liberare, come qualche anno fa a Toirano, in una falesia che peraltro è notoriamente dedicata al facile. Una bella linea su un pannello leggermente strapiombante, un tiro corto ma abbastanza tignoso che mi ha subito “preso”; su consiglio di un amico e dopo aver saputo che il tiro era già stato tentato anche da altri e non solo dal chiodatore stesso (non mi permetterei) c’ho messo mano e da subito ho sentito tutti movimenti entrare abbastanza bene, ma senza riuscire a metterli tutti insieme. Anche lì ho avuto la fortuna di avere la giornata giusta nel momento giusto e di crederci un po’ oltre alla mia innata “coniglite” con la corda e di riuscire a liberare “Tabula rasa” al secondo giorno, un piacere che mi ha fatto venire l’acquolina in bocca per mettermi alla ricerca di altri tiri e di altre linee ancora “vergini”.
Quest’estate ho passato gran parte delle giornate dedicate ai blocchi al rifugio Remondino, un’area che non mi stancherò mai di dire esser superiore a qualsiasi altra io conosca, in zona e non, e anche lì, pur essendoci linee già salite, alcune più vecchie altre più recenti, raramente mi son fermato a provarle più di tanto, attirato sempre e comunque dal “nuovo” che invece a ben vedere nuovo non è. La linea esiste già, è sempre esistita, quindi non si crea niente, semplicemente si usa quello che si vede scritto sulla roccia ma quella linea non è nient’altro che una sequenza di prese e appoggi che alcuni vedono e altri (purtroppo per loro) no. Oppure a ben vedere quella linea che intuisci dal nulla non è mai esistita, è solamente roccia per qualunque persona ma per te invece rappresenta qualcosa di diverso e di nuovo, uno stimolo per il tuo corpo ma prima ancora per la tua testa, un insieme di prese e appoggi che cerchi di mettere insieme per realizzare qualcosa di essenzialmente inutile. Credo che la differenza sostanzialmente sia quella che passa tra osservare un quadro, anche bellissimo, e provare a dipingerne uno: sono convinto che anche se oggettivamente un Picasso sarà superiore alla mia crosta soggettivamente non ci siano paragoni che tengano e nell’inutilità di entrambe le opere scelgo quella che più mi soddisfa.
Tutto questo per dire che non so se l’arrampicata sia arte, per me sicuramente lo è, e più ancora che nel gesto lo è nell’intuizione iniziale, anzi forse solamente in quello. Per il resto è opera di carpenteria.

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