giovedì 28 febbraio 2013

THE ART OF SHREDDING

All’inizio era il rock. Anzi proprio all’inizio non lo so, potrei dire blues, country, ma prima ancora? In ogni caso l’evoluzione musicale del metal negli ultimi 30 anni è stata enorme e le “etichette” si sono moltiplicate a dismisura, non sempre per proporre qualcosa di nuovo, anzi spesso si è semplicemente rigurgitato qualcosa vecchio di anni dandogli semplicemente un nome diverso. Tante sottili differenze che creano un caos di generi (provare per credere: vedete su wikipedia partendo da un genere “x” quante sottocategorie esistono?!), quando in realtà le basi son sempre le stesse e chi ha creato il movimento son quei 10-15 gruppi che han fatto la storia. In ogni caso, lasciando da parte i miei gusti musicali che storicamente son rimasti abbastanza invariati a parte alcune parentesi più o meno felici, credo che uno dei gruppi che nell’ambiente estremo ha fatto la differenza più di ogni altro siano stati i Pantera, e non parlo per semplice campanilismo.
Ogni singolo membro di questo gruppo ha dato il suo imprinting per creare qualcosa di veramente unico e difficilmente etichettabile ma soprattutto credo quasi impossibile da ricreare senza l’amalgama delle singole persone che ne hanno fatto parte. Purtroppo troppo presto si sono sciolti e ancora più presto uno di loro ci ha lasciato, ma quello che ci hanno regalato è semplicemente fantastico per ogni persona in grado di apprezzare il tipo di musica: un mix di tecnica e potenza senza uguali intrecciati a dar vita a singoli pezzi e album ognuno diverso dal precedente. I veri Pantera, quelli nati con l’arrivo di Anselmo alla voce, quelli che hanno composto album del calibro di “Vulgar display of power” o “Far beyond driven” (per me assolutamente il migliore di sempre!), quelli capaci di alti e bassi sul mercato musicale a cui però non si sono mai piegati non esistono più (e mai più per me esisteranno, reunion o meno) ma sono nella leggenda.
Abbandonando completamente ogni schema musicale precedentemente intrapreso e partendo da solide basi trash diedero vita ad un genere musicale completamente nuovo ed autonomo, capace nel contempo di emozionare con canzoni come “Cemetary gates” o far incazzare con sparate del calibro di “Domination”, con un’esibizione tecnica senza pari soprattutto alla chitarra. Favolosi gli intrecci musicali e gli assoli di Dimebag, così come la voce rissosa e al contempo cupa e introspettiva di Anselmo conditi da un muro sonoro scandito dalla doppia cassa furiosa di Vinnie Paul e la base ritmica sommessa ma sempre presente di Rex. Nel corso degli anni, album dopo album, sono stati capaci di crescere e creare sempre qualcosa di nuovo, lasciando da parte sempre di più l’esibizione del singolo componente in favore del gruppo, arrivando ad un album come “Reinventing the steel” (mai nome fu più azzeccato) dove non ci sono più gli assoli paurosi di “Cowboys from hell” che assorbono l’interesse totale dell’ascoltatore ma dove l’insieme dei diversi elementi la fa da padrone.
Purtroppo è stato il canto del cigno, prima l’abbandono di Anselmo poi l’omicidio di Darrell hanno chiuso definitivamente la carriera del gruppo; nonostante le varie partecipazioni a gruppi paralleli (Down, Superjoint Ritual, Damageplan, ecc…) nessuno ha più raggiunto il vertice dei 4 cowboys insieme, un amalgama unica e irripetibile. Chiamatelo groove metal, post trash, chiamatelo come volete, per me resta pura e semplice potenza fatta musica!   



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